4/20/2022 0 Comments La felicità del meno![]() Cos’è la felicità e perché ogni desiderio e azione umani sono rivolti a raggiungerla? Se proviamo a chiedere alle persone cos’è la felicità otteniamo risposte diverse, ma nessuna definisce esattamente cos’è, soprattutto perché la si declinerà con i mezzi per raggiungerla. La sua mancata consapevolezza di descriverla correttamente la rende particolarmente affascinante: non è una definizione, ma una percezione dell’esterno che combacia con la volontà dell’anima. La felicità è un desiderio intenso, ma è anche una straordinaria responsabilità individuale. Essere felici non significa fare tutto ciò che appaga l’ego, ma decidere che ogni cosa che accade va vissuta in una specifica modalità che generi soddisfazione. La vita è tutt’altro che ricerca di perfezione, ma fluire con gli eventi cosicché la felicità sarà libera di raggiungerci. Molte persone lottano ogni giorno per ottenere la felicità, ma il segreto sta nello smettere di lottare e uscire dallo stato conflittuale con l’esistenza. Più lottiamo, maggior resistenza generiamo; maggior resistenza è aumento di fatica. E se la soluzione stesse nel mutare la resistenza in accettazione in modo da cogliere la perfezione di ciò che viviamo in ogni singolo istante? Il vuoto e il silenzio ![]() I conflitti e le resistenze si eliminano facendo spazio, permettendo al vuoto di entrare in noi per riempirlo di ciò che ci soddisfa, ma essendo disposti a lasciare andare quel nuovo quando diventa vecchio. Quindi, è avendo il coraggio di liberarsi di quello che ha esaurito la propria funzione che permettiamo a qualcos’altro di entrare nella nostra vita e renderla degna di essere tale. Ciò che spaventa è quel vuoto, ma quando siamo pieni dobbiamo accontentarci di ciò che abbiamo anche se non è più funzionale o non ci piace più. Quando non sappiamo come riempire quel vuoto allora lo facciamo con il rumore. È interessante scoprire come nel vuoto non esiste il suono e quindi stiamo contrastando una legge fondante dell’universo. Il silenzio spaventa molti, ma è nel silenzio che scopriamo chi siamo e cosa vogliamo manifestare. Rifiutiamo il silenzio perché è quiete ma ci hanno insegnato che bisogna sempre essere in movimento, fare qualcosa, pena il senso di colpa; rifiutiamo il silenzio e la quiete perché l’universo è basato sull’entropia, il caos, e lo ricerchiamo continuamente. È più facile mantenere il caos rispetto alla coerenza, ecco perché tendiamo al rumore anziché al silenzio. Una declinazione del silenzio è il tacere che rappresenta la soddisfazione. Infatti, tacere è il verbo del saggio che parla solo quando interpellato e in modo sintetico, esprimendo l’essenziale. Il rumore indica mancanza e bisogno. Il silenzio diventa assordante in chi ha necessità di compagnia e così Tv, radio, social media sono sempre in sottofondo, non importa cosa trasmettano, l’importante è il rumore di fondo. Se non ci sono, allora meglio avviare una conversazione telefonica con qualsiasi tipo di scusa. Messaggi, mail, commenti sui social… tutto pur di portare rumore nella propria vita, per una certezza di esistere, perché lasciando un segno visibile o udibile da molti si ottengono attenzioni, confermando a se stessi di non essere soli. Evitare la solitudine, che spesso genera disagio, è facile attraverso quel dono ubiquitario che oggi la tecnologia permette, portandoci alla frammentazione di noi anziché all’integrità e alla coerenza. Silenzio e solitudine hanno lo scopo di indurci ad ascoltare noi stessi e gli altri. Senza ascolto la comprensione è inesistente e senza comprensione la comunicazione è impossibile. Parlare e comunicare sono due cose diverse. Si può parlare comunicando e comunicare parlando, ma non sempre parlando si comunica: è possibile nell’ascolto. È nel silenzio che impariamo a formare noi stessi comprendendo che l’utilizzo della parola è un atto sacro. Vivere immersi nel rumore ha conseguenze devastanti per la macchina biologica; si traduce in attivazione continua della fight or flight response, produzione di distress, repressione di emozioni e azioni a favore di un’esistenza inappropriata e di appannaggio di altri. La bellezza ![]() Come possiamo fare per lasciare andare il rumore? Un modo semplice è di immergersi nella bellezza. Avete notato come nei luoghi in cui riconosciamo più facilmente il bello, il suono sia ridotto al minimo? Luoghi sacri, musei e gallerie d’arte, natura… Allora, possiamo immergerci nella bellezza anche nella quotidianità, semplicemente ponendo attenzione in ciò che già esiste di bello che ci circonda. E così, la bellezza diviene quotidianità. Esiste una connessione profonda tra la bellezza esteriore e quella interiore: riconoscendola fuori, riconosciamo di esserlo ed essendo bellezza scopriamo che la felicità può esserci solamente partendo dalla bellezza. L’immersione nella bellezza aiuta lo sviluppo dello stato di meraviglia che permette di accogliere la vita e a valorizzarla attraverso amore e gratitudine. Meravigliarsi è osservare il mondo come fosse la prima volta, stimolando fantasia, buonumore, spontaneità e sensibilità. La rinuncia Voglio ora ritornare al concetto del titolo, ovvero riportare l’attenzione sul “meno”. La parola ci conduce al senso di rinuncia, che può essere inteso come scelta, sacrificio, promessa, ma sempre con un’esperienza di mancanza. La rinuncia, invece, diviene l’azione di lasciar andare allo scopo di liberarci dalle passioni e pulsioni per dirigere l’energia verso azioni utili e istintive. Rinunciare è allora conoscere i propri limiti per spostarli, crescere, evolvere. La rinuncia insegna a saper individuare kairos, a vivere senza aspettative percependo la felicità che si sviluppa nell’istante presente, evitando di sopravvivere nel passato e di non vivere il futuro, godendo del frattempo che intercorre tra questi due momenti temporali. Parlando in termini di rinuncia, non s’intende vivere nella miseria evitando di acquistare ciò che migliora la quotidianità; s’intende eliminare ciò che peggiora l’esistenza, come giudizio, lamentela, ossessioni, senso del possesso, rabbia ed emozioni inferiori, dipendenze, azioni compulsive… Comunemente, vi è un’errata idea che avere beni materiali sia sinonimo di felicità o di infelicità, dipende dal personale vissuto, quando, invece, è ciò che abbiamo interiormente e che inseriamo nella presenza o mancanza che è importante conoscere per utilizzarlo efficacemente. Liberarsi delle zavorre Essere felici è essere se stessi, liberarsi di catene e corde invisibili ma presenti generanti dipendenze e, di conseguenza, una continua ricerca di quello stato emotivo perché è ciò che in quel momento specifico ci fa sentire esistenti e lasciandolo andare perdiamo i nostri punti di riferimento. Se vogliamo volare è necessario non solo avere un apparato di volo efficiente, ma togliere tutto ciò che ci appesantisce. Più sviluppiamo emozioni inferiori, più aumenta il nostro peso, perché esse sono molto dense. La leggerezza è la via della felicità, è quel vuoto che manifestiamo escludendo il rumore. La leggerezza è il risultato di una scultura: si manifesta nella sua bellezza dopo che tutto il superfluo è eliminato, quando il blocco di marmo diviene più “leggero”. Il meno In definitiva, le zavorre si identificano con:
La disciplina dona la libertà. La libertà dona la felicità. La felicità è una disciplina.
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