1 Partito quindi di là, andò nella sua patria e i discepoli lo seguirono. 2 Venuto il sabato, incominciò a insegnare nella sinagoga. E molti ascoltandolo rimanevano stupiti e dicevano: «Donde gli vengono queste cose? E che sapienza è mai questa che gli è stata data? E questi prodigi compiuti dalle sue mani? 3 Non è costui il carpentiere, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle non stanno qui da noi?». E si scandalizzavano di lui. 4 Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato che nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua». 5 E non vi potè operare nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi ammalati e li guarì. 6 E si meravigliava della loro incredulità.
Gesù andava attorno per i villaggi, insegnando. Un detto antico recita: “Nessuno è profeta in patria” e, se anche per Gesù Cristo è stato così, il condizionamento della mente umana lascia molto riflettere. I suoi concittadini, chi l’ha visto crescere, dubitano delle sue potenzialità, del fatto che sia il prescelto. Quando una persona evolve esponenzialmente nel tempo, diviene oggetto di scetticismo in chi l’ha conosciuto diversamente. La mente umana si rifiuta di credere che quella persona possa essere divenuta ciò che è, esprimendo le proprie potenzialità e talenti. Pensare a qualcosa di diverso ed accettarlo fa morire la mente inconscia, perché è costretta a modificare i dati inseriti. Le persone comuni sono abituate a giudicare ed emettere sentenze e, in effetti, lo definiscono solo il figlio del carpentiere e di Maria, il fratello di “quelle” persone. Si sono rifiutati di accettare che Egli sia un essere umano vero che esprime la propria divinità, perché ad un basso livello di coscienza non si comprende e non si accetta la possibilità di qualcosa di diverso, ma si vive nella meccanicità e nel condizionamento del paradigma. Questo si chiama autosabotaggio della mente inconscia che preferisce una comoda falsità ad una scomoda verità. A livello più sottile, si verifica quando ognuno di Noi evita di comprendere quanto è potente, perché genera paura di mancata responsabilità nel portare avanti quei poteri, perché inizialmente incapace di gestirli. È necessaria una seria disciplina per poterlo fare e pochi sono disposti a questo, perciò preferiscono dirsi che è impossibile. 7 Allora chiamò i Dodici, ed incominciò a mandarli a due a due e diede loro potere sugli spiriti immondi. 8 E ordinò loro che, oltre al bastone, non prendessero nulla per il viaggio: né pane, né bisaccia, né denaro nella borsa; 9 ma, calzati solo i sandali, non indossassero due tuniche. 10 E diceva loro: «Entrati in una casa, rimanetevi fino a che ve ne andiate da quel luogo. 11 Se in qualche luogo non vi riceveranno e non vi ascolteranno, andandovene, scuotete la polvere di sotto ai vostri piedi, a testimonianza per loro». 12 E partiti, predicavano che la gente si convertisse, 13 scacciavano molti demòni, ungevano di olio molti infermi e li guarivano. Riceviamo qui l’informazione che un primo periodo di iniziazione dei discepoli è terminato. È giunto il momento di essere indipendenti sul campo. Dimostreranno che il tempo della formazione accanto al Maestro Gesù Cristo è stato utile per educarsi al servizio dell’umanità. Impararono a riconoscere ed esorcizzare gli spiriti immondi, a guarire e a predicare la parola di Dio, il messaggio cristico. È questa l’eredità che Gesù Cristo lascia agli apostoli e ad altri discepoli: la capacità di trasmettere il messaggio iniziatico del Cristo, il potere di guarigione e di esorcizzazione. Questi tre elementi rappresentano la capacità di realizzazione di sé attraverso la parola, strumento potentissimo di creazione; il raggiungimento dell’integrità di tutti i corpi di cui siamo composti che si manifesta sul piano fisico nel corpo; il libero arbitrio, ovvero la capacità di liberarsi, o di voler liberarsi, da chi manipola e impone chiedendo aiuto. Egli ordina loro di prendere solo il bastone. Quest’oggetto ha la funzione di prolungamento del proprio campo elettromagnetico, come avviene per la bacchetta del mago; aiuta a dirigere, come fanno i pastori con le greggi; è uno strumento di sostegno, ma è anche uno strumento divinatorio, come fa il rabdomante per trovare l’acqua. In quel territorio era un oggetto importante, considerato che era desertico. Il bastone indica la direzione da prendere e con esso la si benedice, perché si riveli benevola. È simbolo di autorità e rappresenta lo scettro del potere che i re tenevano sempre in mano. Il bastone, insieme all’acqua benedetta, è lo strumento utilizzato per gli esorcismi, in quanto collega terra e cielo, mondo materiale e spirituale. Grazie al bastone si può avere potere sui quattro elementi. Il bastone rappresenta anche la semplicità nel costruire. È, quindi, creazione, potere e trasformazione, rappresenta il vettore di energia vitale e psichica. Non è un caso che le bacchette magiche sono costruite con il legno e la bacchetta è un bastone in formato ridotto. Gesù Cristo impone ai discepoli di andare a svolgere il proprio ministero senza nulla. Indica, qui, l’aver sviluppato la massima fiducia nell’esistenza: tutto ciò che serve, arriva al momento opportuno. Chi li ospiterà, lo farà con amore e dedizione, ecco perché rimanere in quella casa fino alla partenza. In quel luogo, troveranno persone pronte a ricevere gli insegnamenti e in grado di trasmetterli, poi, a chi chiederà loro spiegazioni. Sbattere i piedi dalla polvere è un modo per liberarsi da energie di rifiuto. La responsabilità di aver chiuso occhi e orecchie è di chi ha attuato il gesto. Ma scuotere la polvere è anche un modo per indicare che lì si è lasciato un segno, che può essere colto, togliendo la polvere, oppure ignorato, coprendolo con la polvere, ma la testimonianza di quel simbolo esiste. Ricordo anche che l’umanità (adamah) è formata di polvere (adamah significa anche argilla, terra rossa)) e questo significa che siamo tutti fatti della stessa sostanza e tramite la polvere possiamo ottenere lo stesso messaggio inviato a tutti, per informazione, nello spazio vuoto degli atomi. La terra è in grado di immagazzinare informazioni, come l’acqua e l’aria, e la polvere contiene l’informazione di ogni evoluzione di Gaia. La polvere rappresenta lo stato passato e futuro di ogni uomo, il suo essere umile. 14 Il re Erode sentì parlare di Gesù, poiché intanto il suo nome era diventato famoso. Si diceva: «Giovanni il Battista è risuscitato dai morti e per questo il potere dei miracoli opera in lui». 15 Altri invece dicevano: «È Elia»; altri dicevano ancora: «È un profeta, come uno dei profeti». 16 Ma Erode, al sentirne parlare, diceva: «Quel Giovanni che io ho fatto decapitare è risuscitato!». 17 Erode infatti aveva fatto arrestare Giovanni e lo aveva messo in prigione a causa di Erodìade, moglie di suo fratello Filippo, che egli aveva sposata. 18 Giovanni diceva a Erode: «Non ti è lecito tenere la moglie di tuo fratello». 19 Per questo Erodìade gli portava rancore e avrebbe voluto farlo uccidere, ma non poteva, 20 perché Erode temeva Giovanni, sapendolo giusto e santo, e vigilava su di lui; e anche se nell'ascoltarlo restava molto perplesso, tuttavia lo ascoltava volentieri. In questo passo Erode è in confusione, perché rivede in Gesù Cristo il Giovanni Battista, fatto da egli stesso decapitare. In realtà, sì, la resurrezione è avvenuta, ma per il messaggio trasmesso, un messaggio potenziato rispetto a quello di Giovanni; infatti, egli sosteneva che sarebbe arrivato un suo successore molto più potente di lui. E così fu. Interessante notare come Erode, pur essendo contrariato sul piano egoico da quanto Giovanni Battista predicava, lo riconoscesse sul piano animico. Lo ascoltava volentieri, perché trasmetteva un messaggio di amore e libertà, di verità; questo veniva percepito da Erode che lo ascoltava con piacere. Un messaggio elevato, entra nei cuori di chiunque, anche se, poi, molti lo rifiutano a livello egoico. 21 Venne però il giorno propizio, quando Erode per il suo compleanno fece un banchetto per i grandi della sua corte, gli ufficiali e i notabili della Galilea. 22 Entrata la figlia della stessa Erodìade, danzò e piacque a Erode e ai commensali. Allora il re disse alla ragazza: «Chiedimi quello che vuoi e io te lo darò». 23 E le fece questo giuramento: «Qualsiasi cosa mi chiederai, te la darò, fosse anche la metà del mio regno». 24 La ragazza uscì e disse alla madre: «Che cosa devo chiedere?». Quella rispose: «La testa di Giovanni il Battista». 25 Ed entrata di corsa dal re fece la richiesta dicendo: «Voglio che tu mi dia subito su un vassoio la testa di Giovanni il Battista». 26 Il re divenne triste; tuttavia, a motivo del giuramento e dei commensali, non volle opporle un rifiuto. 27 Subito il re mandò una guardia con l'ordine che gli fosse portata la testa. 28 La guardia andò, lo decapitò in prigione e portò la testa su un vassoio, la diede alla ragazza e la ragazza la diede a sua madre. 29 I discepoli di Giovanni, saputa la cosa, vennero, ne presero il cadavere e lo posero in un sepolcro. Erode si rivela un re del mondo, un re con tutte le sue debolezze. Le regole imposte dall’esterno hanno la meglio su un codice d’onore che dovrebbe contraddistinguere un regnante di elevato livello. Il capriccio di una donna prevale su una vita umana; il piacere dei sensi di un re prevale su una missione elevata. Egli si lascia tentare dagli istinti primordiali e, in base a questi, fa una promessa. Una promessa va sempre mantenuta, pena la propria reputazione e un re deve dimostrare di essere tale, perciò la sua parola data è legge. Un sovrano dovrebbe saper distinguere tra impulsi primordiali e obiettivi evolutivi per l’umanità e dovrebbe far promesse solamente riferite ad un miglioramento dei propri cittadini. La decapitazione di Giovanni Battista rappresenta la vittoria dell’ignoranza sulla vera conoscenza e dell’impulso sull’istinto. Questo è uno degli obiettivi del messaggio cristico, che verrà incarnato da Gesù Cristo che, come disse Giovanni Battista, sarà più grande di lui che infatti, riesce a resuscitare. Un elemento che appare in tutta questa scena è il potere della danza. Tramite essa, Erode perde la sua centratura e la figlia di Erodiade, invece, acquisisce potere. La danza ha la capacità di far esprimere Noi stessi, elevandoci. Lo dimostrano le danze sacre. Rappresenta lo scambio tra energie cosmiche divine e umane. Le danze sono veri e propri rituali. È un modo di comunicare, condividere e consacrare un evento; aggrega, unisce, toglie le inibizioni; può portare all’estasi spirituale, può generare un fenomeno atmosferico, infondere energia a distanza. 30 Gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e insegnato. 31 Ed egli disse loro: «Venite in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un po'». Era infatti molta la folla che andava e veniva e non avevano più neanche il tempo di mangiare. 32 Allora partirono sulla barca verso un luogo solitario, in disparte. Recuperare le energie utilizzate mettendosi al servizio degli altri è importante e, per farlo, è necessario appartarsi in luoghi solitari. La rigenerazione energetica può avvenire attraverso il contatto con la natura e rimanendo all’interno di gruppi con gli stessi obiettivi; in questo caso ci si ricarica a vicenda, perché la condivisione di intenti è uno dei metodi più efficaci per rinnovare le energie e potersi porre di nuovo al servizio. Per rigenerarsi è necessario cambiare ambiente rispetto a quello in cui le energie sono state utilizzate, per infondere nella macchina biologica un’in-formazione nuova. In quell’ambiente, ormai, si sono esaurite le frequenze costruttive e c’è necessità di ricostituirle. Questi posti appartati divengono anche il luogo ideale per poter confrontarsi, condividere, collaborare per crescere e imparare. Gesù Cristo conosce bene tutto questo e invita i discepoli a seguirlo. 33 Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città cominciarono ad accorrere là a piedi e li precedettero. 34 Sbarcando, vide molta folla e si commosse per loro, perché erano come pecore senza pastore, e si mise a insegnare loro molte cose. Nonostante la necessità di rimanere solo, Gesù Cristo svolge il suo compito sempre: prima vengono le pecore da ammaestrare, perché ne sentono l’esigenza. Egli prova una profonda compassione per loro e comprende l’enorme necessità nell’avere una speranza di ricevere grazia, redenzione, libertà, di capire chi sono. L’influenza nelle masse è tale che Egli comprende il bisogno scaturito dalla voglia di vivere bene. Una parola di speranza è la soluzione. Gesù Cristo paragona la folla alle pecore, animali che incarnano la sottomissione passiva, pur docili, ma impuri, a differenza dell’agnello. Essendo senza pastore, sono nel caos. Il pastore è colui che guida, custodisce, protegge e raduna. È l’autorità e la pazienza, l’esempio di spiritualità da seguire. 35 Essendosi ormai fatto tardi, gli si avvicinarono i discepoli dicendo: «Questo luogo è solitario ed è ormai tardi; 36 congedali perciò, in modo che, andando per le campagne e i villaggi vicini, possano comprarsi da mangiare». 37 Ma egli rispose: «Voi stessi date loro da mangiare». Gli dissero: «Dobbiamo andar noi a comprare duecento denari di pane e dare loro da mangiare?». 38 Ma egli replicò loro: «Quanti pani avete? Andate a vedere». E accertatisi, riferirono: «Cinque pani e due pesci». 39 Allora ordinò loro di farli mettere tutti a sedere, a gruppi, sull'erba verde. 40 E sedettero tutti a gruppi e gruppetti di cento e di cinquanta. 41 Presi i cinque pani e i due pesci, levò gli occhi al cielo, pronunziò la benedizione, spezzò i pani e li dava ai discepoli perché li distribuissero; e divise i due pesci fra tutti. 42 Tutti mangiarono e si sfamarono, 43 e portarono via dodici ceste piene di pezzi di pane e anche dei pesci. 44 Quelli che avevano mangiato i pani erano cinquemila uomini. Uno dei passi del vangelo più esemplari: definisce la condivisione. Cosa sia successo a livello materiale è probabilmente una semplice azione di esempio da seguire, ovvero Gesù invita i vari gruppi a fare come Lui: condividere il cibo che ogni membro del gruppo possiede, poco o tanto che sia. Gesù Cristo conferma come la condivisione sia il miglior modo per moltiplicare ogni cosa. Comprendiamo meglio questo concetto. Se io possiedo un’informazione e tu un’altra, ce le scambiamo, abbiamo entrambi due informazioni, quindi, abbiamo moltiplicato la nostra conoscenza che ci condurrà ad una migliore vita. Se questo lo portiamo su vasta scala, comprendiamo come siano state avanzate “dodici ceste di pane”. Qui possiamo inserire anche il significato simbolico di questo alimento: Betlemme, paese di nascita di Gesù Cristo, significa in ebraico “Casa del Pane” e il pane è l’alimento base di molte popolazioni oggi come nell’antichi-tà. Il dodici è un numero sacro e lo abbiamo precedentemente trattato, mentre i due pesci rappresentano sempre l’omonima costellazione e quello è il periodo dell’era dei pesci. I pani iniziali erano cinque, numero della spiritualità, dello sviluppo delle facoltà sui piani superiori, la trasmutazione della materia grezza in materia fine. Il cinque in questo caso potrebbe simboleggiare anche la Torah, ovvero i cinque libri (quindi i cinque pani) che donano la conoscenza. Quando la conoscenza è stata oggetto di moltiplicazione e condivisione, l’umanità ha fatto balzi evolutivi importanti. Qui stiamo parlando del messaggio cristico, perciò il balzo diviene ancora maggiore. Prima di condividere il cibo, Gesù Cristo alza gli occhi al cielo e lo benedice. Tramite questo rito l’energia divina penetra nell’oggetto, in questo caso il cibo; si tratta di frequenze di amore e protezione. Un gesto potente, la benedizione, che infonde l’oggetto della stessa vibrazione, corrispondente a tutto ciò di cui abbisogna chi, successivamente, lo utilizzerà. 45 Ordinò poi ai discepoli di salire sulla barca e precederlo sull'altra riva, verso Betsàida, mentre egli avrebbe licenziato la folla. 46 Appena li ebbe congedati, salì sul monte a pregare. In questo passo Gesù Cristo congeda tutti e se ne va da solo sul monte a pregare. Sono elementi importanti l’essere in solitaria, il monte e la preghiera. Pregare è entrare in connessione con la propria parte divina. Deriva dal latino precari, ovvero chiedere, alla quale parola aggiungo con intenzione, l’azione della mente pura, senza condizionamenti. Ma la preghiera è molto più di una richiesta: è un vero stato dell’essere. Il concetto comune di preghiera è quello di ripetizione meccanica di frasi, che anestetizza la mente, senza comprensione, ma che condiziona profondamente il nostro inconscio e le nostre cellule. La preghiera è tale quando la si pratica in consapevolezza di sé; la presenza a se stessi è un elemento fondamentale per divenire Noi quello che chiediamo nella preghiera. Quando chiediamo pace, dobbiamo essere pace, quando chiediamo amore, dobbiamo essere amore; per accedere a questo livello di consapevolezza e coscienza è fondamentale essere liberi da pensieri ed emozioni disturbanti, dobbiamo sentirci nello spazio e nel tempo. Con la preghiera si entra in uno stato tale che il campo elettromagnetico viene ripulito e ridimensionato. Si ritorna ad essere se stessi, come in origine, quando la purezza di cuore era l’unica condizione. Durante la preghiera Dio ci parla, sia esso l’onnipotente teologico o l’espansione di Noi stessi. Quando siamo immersi in pensieri ed emozioni, perdiamo quanto ci sta indicando, perché le sue frequenze rimbalzano nella mente e nel cuore in confusione. La preghiera si avvera quando vi è mancanza di aspettative nella fede. Per poter entrare in questo stato di preghiera al meglio possibile, la solitudine è la miglior condizione, in quanto ci permette la concentrazione su di Noi, evitiamo le distrazioni di qualsiasi natura. Salire sul monte è un modo simbolico per raggiungere la divinità che sta in alto, con le sole nostre forze. Salire in alto ci permette di trovare una migliore connessione, trovare un’aria più pulita e rarefatta, esattamente come l’energia dei nostri corpi sottili. Le montagne esistono per donarci l’opportunità di “salire in alto”, quindi evolverci, innalzarci, attraverso le nostre sole potenzialità. Da sempre l’essere umano ha cercato di porsi in alto come le divinità e l’ha fatto perché, in cuor suo, sa di essere esattamente quella divinità, quindi, quello è il posto che gli spetta. È il luogo dove risiede la divinità e dove avvengono le rivelazioni. Rappresenta la stabilità della fede, la calma, l’eternità; favorisce la contemplazione. 47 Venuta la sera, la barca era in mezzo al mare ed egli solo a terra. 48 Vedendoli però tutti affaticati nel remare, poiché avevano il vento contrario, già verso l'ultima parte della notte andò verso di loro camminando sul mare, e voleva oltrepassarli. 49 Essi, vedendolo camminare sul mare, pensarono: «È un fantasma», e cominciarono a gridare, 50 perché tutti lo avevano visto ed erano rimasti turbati. Ma egli subito rivolse loro la parola e disse: «Coraggio, sono io, non temete!». 51 Quindi salì con loro sulla barca e il vento cessò. Ed erano enormemente stupiti in se stessi, 52 perché non avevano capito il fatto dei pani, essendo il loro cuore indurito. Troviamo spesso allusione ai discepoli in barca. La barca è simbolo della potenza acquisita che permette di avanzare nella propria evoluzione o percorso iniziatico. Rappresenta la volontà dell’essere umano di trasmutare e di divenire padrone del proprio destino. In questo passo troviamo i discepoli affannati a remare contro il vento. Molto bello come esempio, in quanto l’uomo comune, per raggiungere i propri scopi, tende a voler andare contro gli eventi, contro il sistema, contro chi la pensa diversamente, rifiutandoli perché “non gli piacciono”. Ed è qui che sorgono i problemi e si manifestano gli ostacoli. Remare contro porta alla mancata accettazione della partecipazione al disegno divino e al crearsi una realtà distorta. Perché gli obiettivi si realizzino in modalità semplice, è importante fluire con gli eventi, seguire l’onda, come fanno i surfisti che attendono che essa arrivi, le vanno incontro (in-contro, no s-contro), la cavalcano e si fanno trasportare divertendosi. Il passare dei giorni, quasi mai è come ce lo aspettiamo, ma ci sono sempre eventi diversi. Le aspettative sono gli elementi che ci condizionano negativamente la vita, perché create dal nostro ego. Fluendo con gli eventi, come si presentano, la vita diviene bella e senza intoppi. Questo significa che, certo, ci saranno problematiche, ma appena si presentano troviamo la soluzione, invece di lasciarle da parte ad ingigantire ogni giorno di più. Fluire con gli eventi, invece di contrastarli, è uno dei segreti della Legge di Attrazione, segreto iniziatico più volte descritto nel messaggio cristico. Gesù Cristo si porta verso i discepoli di notte, nella fase oscura, per portare luce e loro hanno paura nel vederlo arrivare, perché le loro tenebre hanno reso impossibile percepire la verità. Solo quando parla e si avvicina, allora lo riconoscono. Anche qui uno spunto di riflessione meraviglioso: ci fa paura tutto quello che è ignoto e, solitamente, rimaniamo nella paura finché otteniamo la conoscenza, quella fiamma che genera luce, coraggio. Il messaggio cristico ci indica il contrario: abbi coraggio finché conoscerai il pericolo, poi, puoi decidere se avere paura oppure no. Lo credevano un fantasma, perché camminava sulle acque, azione impossibile a un qualsiasi essere umano (dimenticando che Gesù Cristo non era un comune essere umano), a simboleggiare il suo fluire sulle emozioni, senza farsi condizionare. Camminare sull’acqua è un fenomeno che può essere replicato attraverso tecniche simili alla levitazione o alla camminata sui carboni ardenti. È un fenomeno che richiede lo sviluppo esponenziale di molte capacità extrasensoriali, assolutamente possibile per chiunque lo voglia. Quando Gesù Cristo sale in barca, il vento cessa di soffiare e loro possono remare tranquillamente. Il significato è che, grazie al suo arrivo, i discepoli hanno trovato la tranquillità, perché Lui li ha condotti per mano nella comprensione del fluire con la natura e gli eventi. È la stessa sensazione di quando la mamma arriva vicino al bambino: gli dona sicurezza. Per evitare la sofferenza servono conoscenza e fiducia nella vita e negli eventi che si presentano in ogni istante. Il vento è il nostro respiro: tranquillo o agitato. I discepoli sono ancora molto inconsapevoli, sono sulla strada per imparare. Hanno ancora il cuore indurito e questo li tiene in uno stato di condizionamento alquanto forte. Scioglierlo è una delle azioni più difficili: vuol dire ri-evoluzionare completamente tutto quello che conoscono, la modalità di percezione del mondo esteriore, quello che hanno imparato e che hanno creduto vero. I miracoli sono incomprensibili per loro, come per la maggior parte degli uomini, perché incapaci di aprirsi alla realtà manifesta e immanifesta. Il cuore è un simbolo che ricorre spesso anche nel messaggio cristico: il cuore è il centro del nostro corpo, rappresenta l’equilibrio, la connessione col mondo esterno e la natura. Collegata al cuore, è la ghiandola timo, la quale, quando in buone condizioni, permette di arrivare al momento del trapasso in modalità serena e senza paura. Attualmente il timo, come la pineale, si sta atrofizzando nell’uomo comune. 53 Compiuta la traversata, approdarono e presero terra a Genèsaret. 54 Appena scesi dalla barca, la gente lo riconobbe, 55 e accorrendo da tutta quella regione cominciarono a portargli sui lettucci quelli che stavano male, dovunque udivano che si trovasse. 56 E dovunque giungeva, in villaggi o città o campagne, ponevano i malati nelle piazze e lo pregavano di potergli toccare almeno la frangia del mantello; e quanti lo toccavano guarivano. Continua senza pausa la missione di Gesù Cristo. Nella vita quotidiana è fondamentale occuparsi dei propri obiettivi sempre, senza deviare dal percorso facendosi stancare.
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